Illegittimo inserimento di un farmaco in lista di trasparenza da parte dell'AIFA: no al risarcimento dei danni se vi è incertezza sulla normativa applicabile
Il Consiglio di Stato conferma la sentenza del TAR Roma: se l'inserimento illegittimo di un medicinale in lista di trasparenza è dipeso da una situazione di incertezza riguardo alla normativa applicabile, difetta in capo alla p.A. la colpa e ricorre invece l'errore scusabile, sicché non vi sono i presupposti per riconoscere all'azienda farmaceutica il risarcimento dei danni
Massima
Medicinale – inserimento in lista di trasparenza – illegittimità – richiesta risarcimento danni da parte dell'azienda farmaceutica danneggiata – colpa dell'Amministrazione – presunzione – onere della prova della mancanza di colpa – grava sull'Amministrazione – contrasti giurisprudenziali – ambiguità quadro normativo di riferimento – errore scusabile – non spetta il risarcimento dei danni
L'AIFA inserisce in lista di trasparenza a partire dall'1 agosto 2017 alcuni medicinali aventi a propria base l'associazione fissa fra due principi attivi, ma l'atto, a seguito della sua impugnazione, viene annullato con la sentenza n. 3129/2018 del Consiglio di Stato.
Ne deriva un nuovo ricorso da parte della stessa azienda farmaceutica, che questa volta agisce per la richiesta di risarcimento dei danni, quantificati in oltre sei milioni di euro; il ricorso viene tuttavia respinto prima dal TAR Roma con la sentenza dell'8 maggio 2023 (vedi in questa rivista) e adesso dal Consiglio di Stato, che nella propria pronuncia, prima di affrontare il merito della questione, puntualizza preliminarmente alcune affermazioni contenute nella sentenza di primo grado, che aveva addossato integralmente alla parte ricorrente l’onere di provare “la sussistenza del criterio di imputazione soggettivo della responsabilità” (vedasi il paragrafo 13 della sentenza del TAR).
Su tale punto il Consiglio di Stato rammenta viceversa l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’acclarata illegittimità del provvedimento costituisce di per sé indice presuntivo della colpa dell’Amministrazione sicché l'onere probatorio a carico del cittadino può ritenersi assolto già soltanto con l’indicazione dell’acclarata illegittimità dell'atto amministrativo, mentre è sull’Amministrazione che grava l’onere di provare l’assenza di colpa mediante l'indicazione dell’errore scusabile, che può derivare “da contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma o dalla complessità dei fatti ovvero, ancora, dal comportamento delle parti del procedimento” (si vedano sul punto le sentenze del Consiglio di Stato n. 591/2023 e n. 5897/2022).
In buona sostanza, ancorché in linea di principio è il ricorrente che deve dimostrare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità, per ciò che concerne la colpa dell’Amministrazione egli può limitarsi all'allegazione dell’illegittimità dell’atto “dovendosi ricorrere, al fine della prova dell’elemento soggettivo della responsabilità, alle regole di comune esperienza e alle presunzioni semplici di cui all’articolo 2727 c.c.”, sicché grava sulla p.A la dimostrazione dell’insussistenza dell’elemento psicologico attraverso la dimostrazione di circostanze che configurino l'errore scusabile.
Ciò posto, il Collegio affronta il merito del ricorso, rilevando che il cuore della vertenza è da rinvenirsi nell'ascrivibilità o meno a titolo di colpa dell'atto illegittimo con cui l'AIFA ha proceduto all'inserimento nella lista di trasparenza. e nella conseguente configurabilità dell’illecito aquiliano con correlativa risarcibilità del danno ingiusto cagionato.
Sul punto la sentenza ribadisce che la semplice illegittimità di un atto amministrativo non comporta di per sé la colpa dell'amministrazione: se la norma violata “è chiara, univoca, cogente, in caso di sua violazione si dovrà riconoscere la sussistenza dell’elemento psicologico”, ma se la disciplina normativa affida alla p.A. un alto grado di discrezionalità, la colpa sussiste solo se il potere è stato esercitato “in palese spregio delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, proporzionalità e ragionevolezza, con la conseguenza che ogni altra violazione del diritto oggettivo resta assorbita nel perimetro dell’errore scusabile”.
Ciò posto, secondo il Consiglio di Stato l’AIFA ha dovuto operare in un contesto connotato da elevato tasso di tecnicismo e opinabilità, atteso che il contenuto dell'unica sentenza del Consiglio di Stato (la n. 5503/2015), che aveva già affrontato la tematica all'epoca in cui l'AIFA adottò il provvedimento di inserimento in lista di trasparenza (poi annullato), non esauriva affatto l'esame di tutte le fattispecie collegabili a quella su cui era intervenuta la decisione.
Ciò significa che, pur a fronte della sentenza del Consiglio di Stato del 2015 in materia, i contorni della regola di azione erano tutt’altro che univoci al punto che, in seguito, l’AIFA aveva doveva operare in un contesto in cui le scelte di fondo rimanevano contrassegnate da ampia discrezionalità tecnica, suscettibile di scriminare il coefficiente di colpa di amministrazione invocato dall'azienda ricorrente.
Il Consiglio di Stato, inoltre, rammenta che in ordine alla quaestio vi è stata pure significativa diversità di vedute in materia tra il Giudice di primo grado e quello dell'appello, il che denota anche sotto tale pregnante profilo la complessità della materia, suscettibile di una pluralità di chiavi di lettura da parte di Corti differenti.
In virtù di tanto la sentenza si conclude giudicando l'operato di AIFA privo dei vizi di irragionevolezza e arbitrarietà che integrerebbero il coefficiente psicologico della colpa di amministrazione, “mentre ricorrono plurimi indici idonei a corroborare la tesi dell’errore scusabile che vale a scriminare la condotta foriera di danno sul piano soggettivo ed escluderne la risarcibilità: segnatamente, la complessità del quadro tecnico-normativo e l’assenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale che avesse già esplorato tutti i corollari operativi dell’accertamento della bioequivalenza tra associazioni fisse di sostituzione”.
Avv. Tommaso di Gioia
Patrocinante dinnanzi alle Magistrature Superiori, già docente nel Corso di Alta Formazione in Diritto Sanitario dell'Università di Bari, componente del Comitato degli Esperti della Scuola di Aggiornamento e della Scuola di Formazione Forense dell'Ordine degli Avvocati di Bari
Commento
Consiglio di Stato/sentenza del 15 settembre 2025
Illegittimo inserimento di un farmaco in lista di trasparenza da parte dell'AIFA: no al risarcimento dei danni se vi è incertezza sulla normativa applicabile
Il Consiglio di Stato conferma la sentenza del TAR Roma: se l'inserimento illegittimo di un medicinale in lista di trasparenza è dipeso da una situazione di incertezza riguardo alla normativa applicabile, difetta in capo alla p.A. la colpa e ricorre invece l'errore scusabile, sicché non vi sono i presupposti per riconoscere all'azienda farmaceutica il risarcimento dei danni
Massima
Medicinale – inserimento in lista di trasparenza – illegittimità – richiesta risarcimento danni da parte dell'azienda farmaceutica danneggiata – colpa dell'Amministrazione – presunzione – onere della prova della mancanza di colpa – grava sull'Amministrazione – contrasti giurisprudenziali – ambiguità quadro normativo di riferimento – errore scusabile – non spetta il risarcimento dei danni
L'AIFA inserisce in lista di trasparenza a partire dall'1 agosto 2017 alcuni medicinali aventi a propria base l'associazione fissa fra due principi attivi, ma l'atto, a seguito della sua impugnazione, viene annullato con la sentenza n. 3129/2018 del Consiglio di Stato.
Ne deriva un nuovo ricorso da parte della stessa azienda farmaceutica, che questa volta agisce per la richiesta di risarcimento dei danni, quantificati in oltre sei milioni di euro; il ricorso viene tuttavia respinto prima dal TAR Roma con la sentenza dell'8 maggio 2023 (vedi in questa rivista) e adesso dal Consiglio di Stato, che nella propria pronuncia, prima di affrontare il merito della questione, puntualizza preliminarmente alcune affermazioni contenute nella sentenza di primo grado, che aveva addossato integralmente alla parte ricorrente l’onere di provare “la sussistenza del criterio di imputazione soggettivo della responsabilità” (vedasi il paragrafo 13 della sentenza del TAR).
Su tale punto il Consiglio di Stato rammenta viceversa l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’acclarata illegittimità del provvedimento costituisce di per sé indice presuntivo della colpa dell’Amministrazione sicché l'onere probatorio a carico del cittadino può ritenersi assolto già soltanto con l’indicazione dell’acclarata illegittimità dell'atto amministrativo, mentre è sull’Amministrazione che grava l’onere di provare l’assenza di colpa mediante l'indicazione dell’errore scusabile, che può derivare “da contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma o dalla complessità dei fatti ovvero, ancora, dal comportamento delle parti del procedimento” (si vedano sul punto le sentenze del Consiglio di Stato n. 591/2023 e n. 5897/2022).
In buona sostanza, ancorché in linea di principio è il ricorrente che deve dimostrare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità, per ciò che concerne la colpa dell’Amministrazione egli può limitarsi all'allegazione dell’illegittimità dell’atto “dovendosi ricorrere, al fine della prova dell’elemento soggettivo della responsabilità, alle regole di comune esperienza e alle presunzioni semplici di cui all’articolo 2727 c.c.”, sicché grava sulla p.A la dimostrazione dell’insussistenza dell’elemento psicologico attraverso la dimostrazione di circostanze che configurino l'errore scusabile.
Ciò posto, il Collegio affronta il merito del ricorso, rilevando che il cuore della vertenza è da rinvenirsi nell'ascrivibilità o meno a titolo di colpa dell'atto illegittimo con cui l'AIFA ha proceduto all'inserimento nella lista di trasparenza. e nella conseguente configurabilità dell’illecito aquiliano con correlativa risarcibilità del danno ingiusto cagionato.
Sul punto la sentenza ribadisce che la semplice illegittimità di un atto amministrativo non comporta di per sé la colpa dell'amministrazione: se la norma violata “è chiara, univoca, cogente, in caso di sua violazione si dovrà riconoscere la sussistenza dell’elemento psicologico”, ma se la disciplina normativa affida alla p.A. un alto grado di discrezionalità, la colpa sussiste solo se il potere è stato esercitato “in palese spregio delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, proporzionalità e ragionevolezza, con la conseguenza che ogni altra violazione del diritto oggettivo resta assorbita nel perimetro dell’errore scusabile”.
Ciò posto, secondo il Consiglio di Stato l’AIFA ha dovuto operare in un contesto connotato da elevato tasso di tecnicismo e opinabilità, atteso che il contenuto dell'unica sentenza del Consiglio di Stato (la n. 5503/2015), che aveva già affrontato la tematica all'epoca in cui l'AIFA adottò il provvedimento di inserimento in lista di trasparenza (poi annullato), non esauriva affatto l'esame di tutte le fattispecie collegabili a quella su cui era intervenuta la decisione.
Ciò significa che, pur a fronte della sentenza del Consiglio di Stato del 2015 in materia, i contorni della regola di azione erano tutt’altro che univoci al punto che, in seguito, l’AIFA aveva doveva operare in un contesto in cui le scelte di fondo rimanevano contrassegnate da ampia discrezionalità tecnica, suscettibile di scriminare il coefficiente di colpa di amministrazione invocato dall'azienda ricorrente.
Il Consiglio di Stato, inoltre, rammenta che in ordine alla quaestio vi è stata pure significativa diversità di vedute in materia tra il Giudice di primo grado e quello dell'appello, il che denota anche sotto tale pregnante profilo la complessità della materia, suscettibile di una pluralità di chiavi di lettura da parte di Corti differenti.
In virtù di tanto la sentenza si conclude giudicando l'operato di AIFA privo dei vizi di irragionevolezza e arbitrarietà che integrerebbero il coefficiente psicologico della colpa di amministrazione, “mentre ricorrono plurimi indici idonei a corroborare la tesi dell’errore scusabile che vale a scriminare la condotta foriera di danno sul piano soggettivo ed escluderne la risarcibilità: segnatamente, la complessità del quadro tecnico-normativo e l’assenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale che avesse già esplorato tutti i corollari operativi dell’accertamento della bioequivalenza tra associazioni fisse di sostituzione”.
Riferimenti
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