La decisione dell'AIFA di non inserire un farmaco in lista di trasparenza è illegittima se non è preceduta dalla comunicazione ex art. 10 bis della l. n. 241/1990
Prima di respingere definitivamente un'istanza di inserimento di un farmaco in lista di trasparenza l'AIFA ha l'obbligo, a pena di illegittimità del proprio diniego, di effettuare la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza ex art. 10 bis l. n. 241/'90 nel rispetto delle garanzie partecipative a favore dell'azienda farmaceutica
Massima
Medicinali – AIFA – diniego inserimento in lista di trasparenza – obbligo di previa notifica della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza ex art. 10 bis l. n. 241/1990 – omissione – violazione delle garanzie partecipative – illegittimità del diniego
Un'azienda farmaceutica chiede l'inserimento in lista di trasparenza di due propri medicinali all'AIFA che, dopo l'approfondimento dell'ufficio AIC e le valutazioni del settore HTA, porta la questione alla competente CTS, che si pronuncia negativamente.
L'AIFA a questo punto trasmette all'azienda tramite pec il parere negativo reso dalla CTS e conclude la propria comunicazione con l'affermazione: “La procedura è da considerarsi conclusa”.
L'azienda farmaceutica propone allora ricorso al TAR Roma denunciando, tra gli altri motivi, sul piano procedimentale la mancata osservanza da parte dell'AIFA della prescrizione partecipativa di cui all'art. 10 bis della l. n. 241/'90; più precisamente l'azienda, nel lamentare la violazione del contraddittorio procedimentale, sottolinea la natura discrezionale delle decisioni in materia da parte dell'AIFA e richiama l'art. 3 comma 8 del Regolamento AIFA del 20 gennaio 2014, secondo cui, quando nel procedimento amministrativo viene richiesta la valutazione del CTS “il parere negativo della Commissione su una domanda diventa definitivo dopo la motivata valutazione da parte della CTS delle eventuali controdeduzioni dell’interessato presentate nel termine di gg 10 decorrenti dal preavviso di diniego”.
Avverso la sentenza del TAR, che accoglie il ricorso ponendo a fondamento della statuizione la violazione dell'art. 10 bis della l. n. 241/1990 e sottolineando la non derogabilità dell'obbligo di consentire la partecipazione all'azienda nel rispetto delle garanzie partecipative a cui è sottoposto il procedimento di formazione della lista di trasparenza, l'AIFA ricorre al Consiglio di Stato.
La prima censura riguarda (la dedotta) impropria sovrapposizione, da parte del TAR, dei concetti di discrezionalità amministrativa e di discrezionalità tecnica: è quest'ultima che secondo l'AIFA connota a monte le decisioni in materia di inserimento o aggiornamento della lista di trasparenza, a valle della quale vi è invece un provvedimento finale di carattere vincolato. In buona sostanza, secondo l'AIFA, la sentenza di primo grado ha operato un'impropria sovrapposizione tra il concetto di discrezionalità pura e quello di discrezionalità tecnica, mentre rientrando il provvedimento conclusivo in quest'ultimo concetto, dovrebbe di conseguenza qualificarsi come atto vincolato e, quindi, privo di margini di valutazione degli interessi coinvolti.
La tesi non è accolta dal Consiglio di Stato che, invece, rammenta come, nonostante l'art. 21 octies comma 2 della l. n. 241/1990 (inserito dalla l. n. 15/2005), non sia mai venuta meno “l’esigenza di un'interpretazione delle pertinenti disposizioni in coerenza con criteri di carattere sostanziale e teleologico, intesi a rinvenire il giusto equilibrio, nella concretezza delle fattispecie che di volta in volta si presentano all’attenzione del giudice amministrativo, tra il principio partecipativo, con le connesse facoltà difensive che da esso germinano in capo al privato, e quello di garantire l’efficienza ed il buon andamento dell’attività della P.A., il quale sarebbe compromesso da aggravamenti procedimentali non funzionali alla tutela di alcun interesse sostanziale”.
La sentenza al proposito indica che persino nella materia del condono edilizio (in cui i provvedimenti finali sono pacificamente a carattere vincolato) vi sono plurimi precedenti giurisprudenziali secondo cui la violazione del contraddittorio procedimentale è causa di illegittimità degli atti finali, in quanto al privato viene impedito l'apporto collaborativo utile per la decisione definitiva.
Ciò posto secondo il Collegio, ove pure si convenga con l'ascrivibilità dell'atto dell'AIFA a quelli di carattere vincolato, comunque ciò non sarebbe di per sé sufficiente a giustificare la violazione delle norme sulle garanzie partecipative del soggetto privato in tutti quei casi in cui può negarsi che, ove fosse stata consentito l'apporto collaborativo del privato, il provvedimento finale sarebbe stato immancabilmente quello assunto nel provvedimento adottato ed impugnato (e la sentenza al proposito indica che la ricorrente ha prodotto analitiche relazioni tecniche tese a confutare le decisioni dell'AIFA).
Quanto, poi, alla discrezionalità tecnica, la sentenza afferma che tale concetto si è oramai innestato sul terreno più consolidato della discrezionalità, con la conseguenza che il dibattito sul punto è approdato all'affermazione giurisprudenziale secondo cui il sindacato del Giudice sulle decisioni tecniche dell'Amministrazione deve appuntarsi comunque sulla verifica se queste ultime “siano assistite da una credibilità razionale supportata da valide leggi scientifiche e correttamente applicate al caso di specie” (C.d.S. n. 7097/2020).
In tutti quei casi, quindi, in cui la p.A. deve applicare norme di carattere tecnico o scientifico caratterizzate da profili rilevanti di complessità ed opinabilità, il provvedimento connotato da discrezionalità tecnica pare doversi accostare maggiormente agli atti discrezionali “puri”, che agli atti vincolati, attesa l'opinabilità dei concetti tecnico – scientifici e la connessa utilità che assume in tali casi il confronto dialettico con l'interessato, con la conseguenza dell'illegittimità di tali atti non preceduti dalla comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, ex art. 10 bis della l. n. 241/1990.
Per quanto concerne il secondo motivo di appello dell'AIFA, secondo cui l'azienda farmaceutica non ha fornito le proprie controdeduzioni mentre avrebbe potuto farlo (tenuto conto che con pec era stato trasmesso il parere negativo della CTS e che l'art. 3 comma 8 del Regolamento AIFA prevede la possibilità di fornirle entro dieci giorni), la sentenza lapidariamente lo respinge puntualizzando che il messaggio trasmesso con pec si concludeva con la frase “La procedura è da considerarsi conclusa”, con ciò configurando il provvedimento come definitivo e quindi impedendo l'apporto collaborativo che lo stesso regolamento AIFA invece garantisce.
Avv. Tommaso di Gioia
Patrocinante dinnanzi alle Magistrature Superiori, già docente nel Corso di Alta Formazione in Diritto Sanitario dell'Università di Bari, componente del Comitato degli Esperti della Scuola di Aggiornamento e della Scuola di Formazione Forense dell'Ordine degli Avvocati di Bari
Commento
Consiglio di Stato/sentenza dell'11 luglio 2025
La decisione dell'AIFA di non inserire un farmaco in lista di trasparenza è illegittima se non è preceduta dalla comunicazione ex art. 10 bis della l. n. 241/1990
Prima di respingere definitivamente un'istanza di inserimento di un farmaco in lista di trasparenza l'AIFA ha l'obbligo, a pena di illegittimità del proprio diniego, di effettuare la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza ex art. 10 bis l. n. 241/'90 nel rispetto delle garanzie partecipative a favore dell'azienda farmaceutica
Massima
Medicinali – AIFA – diniego inserimento in lista di trasparenza – obbligo di previa notifica della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza ex art. 10 bis l. n. 241/1990 – omissione – violazione delle garanzie partecipative – illegittimità del diniego
Un'azienda farmaceutica chiede l'inserimento in lista di trasparenza di due propri medicinali all'AIFA che, dopo l'approfondimento dell'ufficio AIC e le valutazioni del settore HTA, porta la questione alla competente CTS, che si pronuncia negativamente.
L'AIFA a questo punto trasmette all'azienda tramite pec il parere negativo reso dalla CTS e conclude la propria comunicazione con l'affermazione: “La procedura è da considerarsi conclusa”.
L'azienda farmaceutica propone allora ricorso al TAR Roma denunciando, tra gli altri motivi, sul piano procedimentale la mancata osservanza da parte dell'AIFA della prescrizione partecipativa di cui all'art. 10 bis della l. n. 241/'90; più precisamente l'azienda, nel lamentare la violazione del contraddittorio procedimentale, sottolinea la natura discrezionale delle decisioni in materia da parte dell'AIFA e richiama l'art. 3 comma 8 del Regolamento AIFA del 20 gennaio 2014, secondo cui, quando nel procedimento amministrativo viene richiesta la valutazione del CTS “il parere negativo della Commissione su una domanda diventa definitivo dopo la motivata valutazione da parte della CTS delle eventuali controdeduzioni dell’interessato presentate nel termine di gg 10 decorrenti dal preavviso di diniego”.
Avverso la sentenza del TAR, che accoglie il ricorso ponendo a fondamento della statuizione la violazione dell'art. 10 bis della l. n. 241/1990 e sottolineando la non derogabilità dell'obbligo di consentire la partecipazione all'azienda nel rispetto delle garanzie partecipative a cui è sottoposto il procedimento di formazione della lista di trasparenza, l'AIFA ricorre al Consiglio di Stato.
La prima censura riguarda (la dedotta) impropria sovrapposizione, da parte del TAR, dei concetti di discrezionalità amministrativa e di discrezionalità tecnica: è quest'ultima che secondo l'AIFA connota a monte le decisioni in materia di inserimento o aggiornamento della lista di trasparenza, a valle della quale vi è invece un provvedimento finale di carattere vincolato. In buona sostanza, secondo l'AIFA, la sentenza di primo grado ha operato un'impropria sovrapposizione tra il concetto di discrezionalità pura e quello di discrezionalità tecnica, mentre rientrando il provvedimento conclusivo in quest'ultimo concetto, dovrebbe di conseguenza qualificarsi come atto vincolato e, quindi, privo di margini di valutazione degli interessi coinvolti.
La tesi non è accolta dal Consiglio di Stato che, invece, rammenta come, nonostante l'art. 21 octies comma 2 della l. n. 241/1990 (inserito dalla l. n. 15/2005), non sia mai venuta meno “l’esigenza di un'interpretazione delle pertinenti disposizioni in coerenza con criteri di carattere sostanziale e teleologico, intesi a rinvenire il giusto equilibrio, nella concretezza delle fattispecie che di volta in volta si presentano all’attenzione del giudice amministrativo, tra il principio partecipativo, con le connesse facoltà difensive che da esso germinano in capo al privato, e quello di garantire l’efficienza ed il buon andamento dell’attività della P.A., il quale sarebbe compromesso da aggravamenti procedimentali non funzionali alla tutela di alcun interesse sostanziale”.
La sentenza al proposito indica che persino nella materia del condono edilizio (in cui i provvedimenti finali sono pacificamente a carattere vincolato) vi sono plurimi precedenti giurisprudenziali secondo cui la violazione del contraddittorio procedimentale è causa di illegittimità degli atti finali, in quanto al privato viene impedito l'apporto collaborativo utile per la decisione definitiva.
Ciò posto secondo il Collegio, ove pure si convenga con l'ascrivibilità dell'atto dell'AIFA a quelli di carattere vincolato, comunque ciò non sarebbe di per sé sufficiente a giustificare la violazione delle norme sulle garanzie partecipative del soggetto privato in tutti quei casi in cui può negarsi che, ove fosse stata consentito l'apporto collaborativo del privato, il provvedimento finale sarebbe stato immancabilmente quello assunto nel provvedimento adottato ed impugnato (e la sentenza al proposito indica che la ricorrente ha prodotto analitiche relazioni tecniche tese a confutare le decisioni dell'AIFA).
Quanto, poi, alla discrezionalità tecnica, la sentenza afferma che tale concetto si è oramai innestato sul terreno più consolidato della discrezionalità, con la conseguenza che il dibattito sul punto è approdato all'affermazione giurisprudenziale secondo cui il sindacato del Giudice sulle decisioni tecniche dell'Amministrazione deve appuntarsi comunque sulla verifica se queste ultime “siano assistite da una credibilità razionale supportata da valide leggi scientifiche e correttamente applicate al caso di specie” (C.d.S. n. 7097/2020).
In tutti quei casi, quindi, in cui la p.A. deve applicare norme di carattere tecnico o scientifico caratterizzate da profili rilevanti di complessità ed opinabilità, il provvedimento connotato da discrezionalità tecnica pare doversi accostare maggiormente agli atti discrezionali “puri”, che agli atti vincolati, attesa l'opinabilità dei concetti tecnico – scientifici e la connessa utilità che assume in tali casi il confronto dialettico con l'interessato, con la conseguenza dell'illegittimità di tali atti non preceduti dalla comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, ex art. 10 bis della l. n. 241/1990.
Per quanto concerne il secondo motivo di appello dell'AIFA, secondo cui l'azienda farmaceutica non ha fornito le proprie controdeduzioni mentre avrebbe potuto farlo (tenuto conto che con pec era stato trasmesso il parere negativo della CTS e che l'art. 3 comma 8 del Regolamento AIFA prevede la possibilità di fornirle entro dieci giorni), la sentenza lapidariamente lo respinge puntualizzando che il messaggio trasmesso con pec si concludeva con la frase “La procedura è da considerarsi conclusa”, con ciò configurando il provvedimento come definitivo e quindi impedendo l'apporto collaborativo che lo stesso regolamento AIFA invece garantisce.
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