Società mista per la gestione della farmacia comunale: se il socio privato non è più operativo il Comune può scioglierla e metterla in liquidazione
Se il socio privato di una società mista perde i requisiti organizzativi e qualitativi e demanda ad altra società privata tutta l'attività di gestione della farmacia, legittimamente il Comune può decidere di non limitarsi ad escludere il socio privato, ma di sciogliere la società mista e metterla in liquidazione
Massima
Farmacia – società mista – perdita dei requisiti organizzativi e qualitativi da parte del socio privato di minoranza – subentro di fatto di altra società privata delegata dal socio di minoranza – scioglimento e messa in liquidazione da parte del Comune - legittimità
Un Comune seleziona mediante una gara il socio privato di minoranza (49%) per la gestione della farmacia comunale. La società aggiudicataria, però, nel corso degli anni inizia a perdere parzialmente tutti i requisiti organizzativi e qualitativi demandando l'attività di gestione della farmacia ad altra società privata da essa prescelta fino a perderli del tutto, al punto che dalle visure catastali risulta aver cessato ogni attività di gestione e non avere più alcun dipendente.
Il Comune decide allora di sciogliere e mettere in liquidazione la società ma il socio privato di minoranza, ancorché oramai inoperativo, impugna tale decisione.
Invoca al proposito la violazione degli artt. 4, 5, 20 e 24 del TUSSP in quanto non sarebbe consentita l’adozione di piani di razionalizzazione delle partecipazioni in relazione alle società partecipate dall’Ente pubblico e tese alla gestione di servizi di interesse generale; peraltro la perdita dei requisiti da parte del socio privato potrebbe al massimo determinarne una causa di esclusione ex art. 10.4 dello Statuto sociale e non giustificherebbe lo scioglimento della società.
Inoltre, secondo la ricorrente, la delibera comunale di scioglimento e messa in liquidazione sarebbe priva di valutazione e motivazione in ordine alla possibilità di sostituire il socio. Il Comune, infine, non avrebbe considerato, in violazione dell’art. 186-bis l.fall., che l’impresa ammessa al concordato può proseguire nella gestione dei rapporti contrattuali con la parte pubblica, fermo restando che l’esito positivo della procedura esclude la sussistenza di limitazioni di capacità per la società.
La sentenza, dopo una pregevole ricostruzione delle ragioni giuridiche per cui la quaestio è assoggettata alla giurisdizione del Giudice amministrativo, respinge il ricorso.
In merito all'asserita violazione dell'art. 20 TUSPP, il TAR indica che in definitiva il comma 2 lett. b) del medesimo art. 20 impone l’adozione del piano di riassetto per la razionalizzazione delle partecipazioni se la società risulti priva di dipendenti e tale situazione integra uno dei presupposti che la delibera comunale impugnata pone a fondamento della scelta di procedere allo scioglimento e alla messa in liquidazione della società mista: una volta appurate criticità non altrimenti superabili, è intervenuta la delibera di scioglimento e messa in liquidazione.
Anche infondato è il motivo di ricorso secondo cui alla luce delle problematiche in essere il Comune avrebbe potuto promuovere soltanto l’esclusione del socio e non deliberare lo scioglimento della società. Sul punto il Collegio indica che l’art. 10.4 dello Statuto societario non vincola l'Amministrazione all’attivazione della sola procedura di esclusione laddove si verifichino le condizioni predette, ma consente una più ampia valutazione nel ritenere che la perdita dei requisiti propri del socio privato operativo evidenzi la necessità di una revisione del modello di gestione prescelto. Il modello di gestione che il Comune aveva prescelto quando aveva selezionato il socio privato implicava che quest'ultimo fosse operativo ed assumesse su di sé gli obblighi di gestione del servizio, con le correlate responsabilità, sennonché tutti gli accadimenti successivi hanno dimostrato che il particolare modello di gestione è sostanzialmente fallito essendo subentrato nell'operatività un diverso socio privato, peraltro prescelto direttamente dal socio originario e senza una previa gara: di qui la correttezza della decisione comunale, funzionale all’interruzione di una modalità di gestione del servizio di farmacia comunale sostanzialmente fallito e, quindi, diretta all’individuazione di un modulo diverso dal precedente.
La sentenza infine non riconosce al ricorrente alcuna lesione del legittimo affidamento nella continuazione della gestione e nella mancata considerazione degli interessi privati coinvolti nella vicenda, visto che per invocare la tutela del legittimo affidamento occorre che questo sia ragionevole e incolpevole, il che non ricorre nel caso di specie, in cui la società ha abdicato sua sponte al ruolo di socio operativo.
Avv. Tommaso di Gioia
Patrocinante dinnanzi alle Magistrature Superiori, già docente nel Corso di Alta Formazione in Diritto Sanitario dell'Università di Bari, componente del Comitato degli Esperti della Scuola di Aggiornamento e della Scuola di Formazione Forense dell'Ordine degli Avvocati di Bari
Commento
TAR Milano/sentenza del 21 novembre 2023
Società mista per la gestione della farmacia comunale: se il socio privato non è più operativo il Comune può scioglierla e metterla in liquidazione
Se il socio privato di una società mista perde i requisiti organizzativi e qualitativi e demanda ad altra società privata tutta l'attività di gestione della farmacia, legittimamente il Comune può decidere di non limitarsi ad escludere il socio privato, ma di sciogliere la società mista e metterla in liquidazione
Massima
Farmacia – società mista – perdita dei requisiti organizzativi e qualitativi da parte del socio privato di minoranza – subentro di fatto di altra società privata delegata dal socio di minoranza – scioglimento e messa in liquidazione da parte del Comune - legittimità
Un Comune seleziona mediante una gara il socio privato di minoranza (49%) per la gestione della farmacia comunale. La società aggiudicataria, però, nel corso degli anni inizia a perdere parzialmente tutti i requisiti organizzativi e qualitativi demandando l'attività di gestione della farmacia ad altra società privata da essa prescelta fino a perderli del tutto, al punto che dalle visure catastali risulta aver cessato ogni attività di gestione e non avere più alcun dipendente.
Il Comune decide allora di sciogliere e mettere in liquidazione la società ma il socio privato di minoranza, ancorché oramai inoperativo, impugna tale decisione.
Invoca al proposito la violazione degli artt. 4, 5, 20 e 24 del TUSSP in quanto non sarebbe consentita l’adozione di piani di razionalizzazione delle partecipazioni in relazione alle società partecipate dall’Ente pubblico e tese alla gestione di servizi di interesse generale; peraltro la perdita dei requisiti da parte del socio privato potrebbe al massimo determinarne una causa di esclusione ex art. 10.4 dello Statuto sociale e non giustificherebbe lo scioglimento della società.
Inoltre, secondo la ricorrente, la delibera comunale di scioglimento e messa in liquidazione sarebbe priva di valutazione e motivazione in ordine alla possibilità di sostituire il socio. Il Comune, infine, non avrebbe considerato, in violazione dell’art. 186-bis l.fall., che l’impresa ammessa al concordato può proseguire nella gestione dei rapporti contrattuali con la parte pubblica, fermo restando che l’esito positivo della procedura esclude la sussistenza di limitazioni di capacità per la società.
La sentenza, dopo una pregevole ricostruzione delle ragioni giuridiche per cui la quaestio è assoggettata alla giurisdizione del Giudice amministrativo, respinge il ricorso.
In merito all'asserita violazione dell'art. 20 TUSPP, il TAR indica che in definitiva il comma 2 lett. b) del medesimo art. 20 impone l’adozione del piano di riassetto per la razionalizzazione delle partecipazioni se la società risulti priva di dipendenti e tale situazione integra uno dei presupposti che la delibera comunale impugnata pone a fondamento della scelta di procedere allo scioglimento e alla messa in liquidazione della società mista: una volta appurate criticità non altrimenti superabili, è intervenuta la delibera di scioglimento e messa in liquidazione.
Anche infondato è il motivo di ricorso secondo cui alla luce delle problematiche in essere il Comune avrebbe potuto promuovere soltanto l’esclusione del socio e non deliberare lo scioglimento della società. Sul punto il Collegio indica che l’art. 10.4 dello Statuto societario non vincola l'Amministrazione all’attivazione della sola procedura di esclusione laddove si verifichino le condizioni predette, ma consente una più ampia valutazione nel ritenere che la perdita dei requisiti propri del socio privato operativo evidenzi la necessità di una revisione del modello di gestione prescelto. Il modello di gestione che il Comune aveva prescelto quando aveva selezionato il socio privato implicava che quest'ultimo fosse operativo ed assumesse su di sé gli obblighi di gestione del servizio, con le correlate responsabilità, sennonché tutti gli accadimenti successivi hanno dimostrato che il particolare modello di gestione è sostanzialmente fallito essendo subentrato nell'operatività un diverso socio privato, peraltro prescelto direttamente dal socio originario e senza una previa gara: di qui la correttezza della decisione comunale, funzionale all’interruzione di una modalità di gestione del servizio di farmacia comunale sostanzialmente fallito e, quindi, diretta all’individuazione di un modulo diverso dal precedente.
La sentenza infine non riconosce al ricorrente alcuna lesione del legittimo affidamento nella continuazione della gestione e nella mancata considerazione degli interessi privati coinvolti nella vicenda, visto che per invocare la tutela del legittimo affidamento occorre che questo sia ragionevole e incolpevole, il che non ricorre nel caso di specie, in cui la società ha abdicato sua sponte al ruolo di socio operativo.
Normativa
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